venerdì 4 giugno 2010

Un uomo e il suo cane

Jean Paul Belmondo in Un homme et son chien

Leggo dell'appello di Lino Banfi per Laura Antonelli, ora sola, malata e quasi senza mezzi di sussistenza. Il pensiero va subito alla bellezza malinconica di un tempo, sfruttata per lo più in film pruriginosi e quasi mai valorizzata nella sua fragilità d'altri tempi: una rosa antica che andava coltivata con prudenza in serra anzichè esposta alle turbolenze della mondanità ottusa e spietata d'oggi.

Laura Antonelli

Come spesso accade, a un ricordo se ne aggiunge un altro, e poi un altro ancora: dal rapido sovvenire di una fuggevole relazione tra Laura e Jean Paul Belmondo passo all'epica vicenda umana di quest'ultimo che, colto da ictus menomante, ha saputo regalarci due anni fa un messaggio umanissimo e malinconico dando il proprio volto e la propria fisicità menomata al celebre pensionato di De Sica, Umberto D. Come nel film originale, al fianco di un dolente Belmondo resta soltanto il fedelissimo cane, e immediatamente penso ai miei Artù e Ginevra, che riempiono e allietano la mia terza età appena iniziata. "Non è un Paese per vecchi", dicevano i fratelli Coen nel 2007, e forse la loro tesi di fondo (l'umanità starebbe attraversando una specie di glaciazione della ragione dovuta al dilagare irrazionale della violenza) è la più probabile. A proposito dell'originale: quando uscì Giulio Andreotti, allora sottosegretario allo Spettacolo, scrisse che De Sica stava rendendo un pessimo servizio alla sua Patria. Non vi ricorda nulla di molto più recente, questa frase?
Ad ogni buon conto, la vicenda di Umberto D. è sempre più attuale e drammatica, e non solo in Italia: la coperta corta, afferrata dalle manone robuste dei soliti noti, lascia sempre più scoperti i non-protetti della nostra società.