mercoledì 29 settembre 2010

Il cane Argo


Come contraenti del millenario patto di alleanza tra uomo e cane, noi tutti abbiamo delle responsabilità nei confronti dei nostri amici a quattro zampe. Eppure, anche quando ci sottraiamo ad esse o addirittura tradiamo il patto, i nostri alleati continuano a darci lo stesso affetto e sostegno di sempre, pronti a dare fin la vita per noi.
Mi chino sul mio cane, steso sulla branda stanco morto dopo una lunga passeggiata, e lui dà un paio di colpi di coda, poi alza una zampa a cercare il mio braccio su cui l'abbandona. E subito la mente corre ai celebri versi che l'Odissea dedica ad Argo, il cane che Ulisse aveva allevato personalmente per la caccia ma cui aveva dovuto quasi subito rinunciare per partire per la guerra di Troia.
Sono passati vent'anni e Ulisse è appena tornato a Itaca, solo e vestito come un mendicante. Nessuno lo riconosce, neppure coloro che gli erano stati più vicini. Argo, ormai vecchio e malconcio, trascurato dai servi dopo la partenza dell’eroe per Troia, giace in stato di abbandono su un mucchio di letame, ormai privo totalmente di forze. Ciononostante, il miracolo si rinnova. Ma cediamo la parola al Poeta:

Queste parole scambiavano tra loro.

E un cane, che giaceva lì, sollevò la testa e le orecchie: era Argo, il cane del valoroso Ulisse, che un tempo egli stesso aveva allevato da cucciolo, senza poterne godere perchè prima era partito per Troia.

A caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri lo portavano i giovani, un tempo; ma ora, partito il padrone, giaceva nell'abbandono sopra il letame dei muli e dei buoi, che davanti alle porte si ammucchiava abbondante, fino a che i servi di Ulisse lo portavano a concimare i suoi vasti terreni. Qui il cane Argo giaceva, pieno di zecche. Quando sentì che Ulisse era vicino, mosse la coda, abbassò le orecchie, ma non aveva la forza di avvicinarsigli. E Ulisse distogliendo lo sguardo si asciugava una lacrima, di nascosto da Eumeo, e gli domandava:
"Eumeo, questo cane, che giace nel letame, d'aspetto è bellissimo, ma non so se era altrettanto veloce a correre o era invece come quei cani da mensa che i padroni allevano per vanità"

Ed Eumeo il guardiano di porci rispose: "È il cane di un uomo ch'è morto lontano. Se per bellezza e vigore fosse rimasto qual'era quando Ulisse lo lasciò partendo per Troia, stupiresti al vedere la sua velocità e forza. Non una preda sfuggiva al suo inseguimento nel folto della foresta profonda, era un esperto nel fiutare le tracce. Ora la sventura l'ha colto: il padrone è morto lontano da casa, le donne non hanno cura di lui. In assenza del padrone i servi non hanno voglia di compiere il loro lavoro. Metà del suo valore toglie all'uomo Zeus, signore del tuono, quando lo rende schiavo".

Così disse ed entrò nella bella dimora, dirigendosi verso la sala, tra i nobili pretendenti.

E la morte oscura scese su Argo, non appena ebbe visto Ulisse, dopo vent'anni.

tratto dall’Odissea, libro XVII, vv 290-327, edizione BUR. La traduzione in italiano è di Maria Grazia Ciani con qualche adattamento da parte mia.

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